Vi
parrà strano che il protagonista di questa storia sia un ragno vista la mia
scarsa simpatia (per usare un eufemismo) nei confronti di quegli insetti, ma sono riuscita a trarne l’ispirazione per un racconto stile
horror…
Il racconto
Pietro
e Lele erano stati compagni di classe alle superiori in quel vecchio istituto
dove gli insegnanti, meschini ed antiquati, erano costantemente bersagliati da
scherzi e risate di scherno da parte dei ragazzi. Il vice preside era l’unico
professore degno di rispetto, lui sapeva capire e stimolare gli studenti e
parlava loro senza essere pedante o ridicolo perché era animato da sincero
entusiasmo; Pietro lo adorava e lo considerava il faro illuminante della sua
carriera scolastica, colui che lo aveva sempre sostenuto e guidato
instillandogli la passione per il lavoro che ancora oggi svolgeva.
Dopo
tanti anni di attività la piccola sartoria artigianale dei due compagni di
scuola risentiva dei cambiamenti di moda e delle diverse abitudini della
clientela e per campare bisognava adattarsi a fare orli e piccole riparazioni,
cercando anche di tenere a freno l’esuberante concorrenza cinese; eppure Pietro
era pieno di idee ed entusiasmo come i primi tempi. Quella sartoria era la sua
vita e tante volte vi si fermava anche dopo l’orario di chiusura del negozio,
quando Lele era già andato via, per finire qualche lavoro che gli stava a
cuore, oppure anche solo per rimanere in silenzio ad il osservare taglio dei
vestiti, accarezzare le stoffe, disegnare nuovi modelli e sognare ad occhi
aperti.
Lele
invece era diverso, non aveva mai nutrito una vera passione per quel lavoro che
tuttavia in passato era stato molto redditizio, ma col passare degli anni e
l’aumentare delle difficoltà aveva perso del tutto l’entusiasmo: arrivava tardi
e se ne stava seduto in negozio a rimuginare e finiva per scoraggiare i clienti
più esigenti fino a farli andare via. Gli screzi tra i due soci erano ormai
all’ordine del giorno e dopo ogni discussione Pietro si rifugiava nel suo mondo
in quel laboratorio nel retro dove Lele non metteva quasi più piede.
A
Pietro piaceva che tutto fosse pulito e in ordine e potete immaginare lo
stupore che lo colse quando trovò una ragnatela vicino alla finestra: lui
spolverava tutte le sere e al mattino quella ragnatela era di nuovo lì a farlo
impazzire. Una volta in cui era particolarmente assorto nei pensieri rimase in
laboratorio fino a notte fonda, fu allora che vide un piccolo ragno nero uscire
da un buco nel legno dello stipite, ricostruire la tela e piazzarvisi al centro
in attesa; la paziente opera dell’animale lo colpì molto, pensò che lui amava
le tele pregiate e le stoffe e non aveva il diritto di rovinare la tessitura di
quel piccolo artigiano. Da quella sera non solo non tolse più la ragnatela, ma
iniziò anche ad osservare con interesse ed attenzione il suo abitante e se ne
affezionò a tal punto che gli diede un nome: Ottavio, in onore del vice preside
della scuola che tanto aveva significato per lui e per la sua professione.
Pietro
instaurò un rapporto di amicizia con Ottavio e aspettava con fremente
impazienza la sera per vederlo uscire dal suo nascondiglio e prendere posto al
centro della tela, poi iniziava a raccontargli le vicende della sua vita,
illustrandogli progetti e aspettative e si confidava e sfogava dopo ogni
discussione con Lele. Per cementare questa strana relazione provò a catturare
alcune mosche da collocare sulla ragnatela, come fossero state prelibatezze da
offrire al nuovo amico, ma questi non le degnò della minima attenzione; imparò
così che i ragni non mangiano prede morte. Questo secondo lui era un problema
perché la finestra su cui era collocata la ragnatela non si poteva tenere
sempre aperta per far entrare gli insetti e se Ottavio non si fosse nutrito
abbastanza, probabilmente se ne sarebbe andato altrove a caccia e questo Pietro
non poteva permetterlo, ormai non poteva più fare a meno del piccolo amico che
in silenzio ascoltava le sue confidenze.
La
soluzione più sensata gli parve quella di andare lui a caccia per parchi e
giardini, cercando di catturare mosche e formiche vive da offrire al ragno.
All’inizio non fu facile e dovette esercitarsi a lungo per affinare la tecnica,
ma aveva un sacco di tempo a disposizione; il lavoro era sempre meno e ogni
scusa era buona pur di uscire e stare lontano dal socio che diventava via via
più disfattista e polemico.
I
suoi sforzi davano buoni risultati e Ottavio apprezzava i moscerini e le
zanzare ancora ronzanti, le croccanti cavallette che si dibattevano
invischiandosi nella tela… mangiava e cresceva sotto gli occhi amorevoli di
Pietro che, soddisfatto nel vedere il ragno ormai addomesticato e legato a lui,
diventava a sua volta un predatore sempre più abile a discapito del lavoro
della sartoria. Il laboratorio era completamente trascurato, le poche commesse
da svolgere giacevano abbandonate e dimenticate, Pietro era totalmente
assorbito dal compito di nutrire il vorace Ottavio che era cresciuto a
dismisura e aveva esteso la tela all’intero vano della finestra.
L’eco
di queste stranezze era giunta a smuovere Lele dal suo torpore: cosa stava
succedendo nel retro del negozio? Perché tutto quel lavoro arretrato e tanta
sporcizia in giro? E soprattutto, cosa faceva il suo socio quando stava fuori
tutto il giorno? Lele iniziò a temere che Pietro lavorasse in segreto per un
negozio concorrente e che lo volesse piantare in asso, solo e senza clientela,
per fargli un dispetto. Quella sera i due litigarono furiosamente e tutti i
rancori sopiti che avevano accumulato per anni vennero fuori con la forza di un
uragano inarrestabile. Volarono accuse e parole pesanti, ma la vera tragedia si
scatenò quando Lele vide la ragnatela e inveì contro il socio accusandolo di
perdere tempo a mettere le decorazioni di halloween invece di lavorare; lo strattonò
con rabbia e gli fece cadere dalla tasca della giacca una scatolina, liberando
così le cavallette che balzarono via. Fu l’ultima goccia: Pietro non perse
tempo a replicare e fuggì via sbattendo la porta, correndo trafelato per
giungere al parco prima che facesse buio in modo da poter catturare qualche
altro insetto per la cena dell’affamato Ottavio.
Purtroppo era però troppo scosso per il litigio e non
riusciva a concentrarsi in modo da rendere la caccia proficua, decise quindi di
passeggiare un po’ per rilassarsi e riflettere sugli ultimi avvenimenti; doveva
riordinare le idee e Ottavio avrebbe fatto un giorno di dieta forzata.
Camminò
per tutta la notte e l’indomani di buon mattino tornò al negozio, desideroso di
vedere come se la fosse cavata Ottavio senza di lui, se non si fosse impaurito
troppo la sera prima e… strano… la porta non era chiusa a chiave, la luce era
accesa ma non c’era nessuno. Si avviò cautamente verso il laboratorio sul retro
guidato da un sommesso lamento; pensò che forse quell’ingrato di Lele aveva
avuto un malore dopo l’alterco ma non provò il minimo dispiacere, il
comportamento irrispettoso e offensivo nei confronti del suo pupillo era stato
intollerabile e per lui quella persona aveva semplicemente cessato di esistere.
Temette invece che l’ex socio per ripicca nei suoi confronti se la fosse presa
con il ragno distruggendogli la tela, o peggio facendogli del male. Non osava
pensarci, tremava di rabbia e di paura mentre avanzava verso la finestra.
Ottavio
però era perfettamente in grado di badare a se stesso e, seppur appesantito dai
bocconcini procurati da Pietro, non aveva perso l’istinto del predatore: quando
Lele si era avvicinato per togliere quella rete che credeva finta, per il ragno
era stato facile avere la meglio su una preda così grossa e lenta nei
movimenti, in un attimo gli era balzato addosso avviluppandolo per bene nella
tela.
La
scena era commovente: il grosso ragno era fermo, immobile in attesa di un cenno
di approvazione da parte di Pietro, il quale osservava con il compiacimento di
un padre nei confronti del figlioletto. Il suo cucciolo, quello che credeva
vulnerabile e indifeso, non solo aveva dimostrato di essere in grado di
procurarsi il cibo da solo, ma era anche intervenuto in suo aiuto. Finalmente
poteva dimenticare tutti i problemi che l’avevano afflitto e prendersi quella
settimana di vacanza che da troppo tempo desiderava e che aveva rimandato per
il timore di lasciare Ottavio incustodito. Preparò il cartello con scritto “chiuso
per ferie” e mentre si avviava soddisfatto e sollevato verso l’uscita, udì
di nuovo l’ esile lamento provenire dal bozzolo che debolmente tentava di
divincolarsi dalla ragnatela. Si girò verso di esso e disse ad alta voce: “Lele
non lo sapevi che i ragni non mangiano prede morte?” Poi sorrise ad
Ottavio, gli augurò buon appetito e se andò.
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Uomini che odiano le donne
(link-fai-da-te by Mira Queen)
Cavolo, ma quanto si deve odiare qualcuno per farlo morire mangiato a poco a poco da un ragno gigante?
RispondiEliminaLode a te per aver scritto bene di animali per cui non simpatizzi ;)
che dolcezza!!!! *.* i miei sinceri complimenti per la trama di questo racconto, è davvero delizioso! grottesco e divertente al punto giusto, brava!!
RispondiEliminagrazie, mi fate arrossire...
RispondiEliminaribadisco che nessun animale è stato maltrattato per la realizzazione di questo blog, neanche il ragno Ottavio :)
Bello!
RispondiEliminaLo hai mai visto "Ai confini della realtà?"
ehmm... ammetto di no... vedrò di rimediare, basta che non ci siano ragni giganti e neanche piccoli.
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