Da
alcuni anni si svolge in luglio – su una collina chiamata
Kobetamendi che si trova sopra la città di Bilbao – un
festival musicale della durata di tre giorni. La fortuna ha voluto
che coincidessero le mie vacanze nei Paesi Baschi e il Festival di
quest'anno... e ancora più importante che la prima serata
suonassero i Cure.
Ero
molto elettrizzata al pensiero di rivederli dal vivo esattamente dopo
venti anni (dai tempi del Wish
Tour)
ma anche un po' preoccupata all'idea di poter assistere al tramonto
di un mito. Dopo tanti anni mi sarei emozionata ancora? E loro, dopo
tanti anni trascorsi sui palchi sarebbero ancora stati in grado di
offrire uno spettacolo valido? Non nascondo che il timore di vedere
la patetica esibizione di star finite abbia attraversato la mia
mente, ma mi sono anche detta che questa sarebbe stata una delle
ultime occasioni che avrei avuto per rivederli dal vivo... e io lo
desideravo veramente e in un certo senso sentivo anche che non mi
avrebbero delusa.
Evitato il pericolo di pioggia almeno per quella sera (segno positivo), ho rispolverato dall'armadio la mia mitica maglietta acquistata al concerto del Wish Tour a Torino nel 1992 e molto orgogliosa di essa, sono salita al Kobetamendi.
Erano
anni che non andavo a un concerto degno di questo nome e non ero mai
stata a un festival di più giorni. Come detto, la località
era vicino alla città ma abbastanza isolata per permettere di
suonare tutta la notte e vi era inoltre la possibilità di
campeggiare per chi si fermava due o tre giorni. I concerti
iniziavano alle 18, ed erano suddivisi su tre palchi ad orari
scaglionati in modo tale che finito un concerto ci si spostava ad un
altro palco dove ne iniziava un altro: questa per me è stata
una buona opportunità di ascoltare gruppi che conoscevo poco o
per niente.
L'ambiente
in generale era molto piacevole. C'erano – come sempre in queste
situazioni – quelli sversi dopo solo due ore, ma c'era davvero
tanta, tantissima gente che era lì per la musica e tanti
continuavano ad arrivare. La cosa bella era che c'erano persone di
tutte le età e di tutti i tipi: dagli adolescenti ai
sessantenni, fricchettoni, rockettari, vecchi dark, strambi e
tranquilli... e soprattutto c'erano anche gruppi familiari proprio
perchè l'offerta musicale era molto ampia. Mi sono sentita
molto a mio agio e mi veniva da sorridere pensando che la maglietta
che indossavo era più vecchia di molti ragazzi che erano lì
per il concerto.
L'esibizione
dei Cure era prevista per le 23 e in me la tensione saliva
inesorabile. Prima di loro sullo stesso palco (dettaglio importante)
suonavano gli Snow Patrol e prima che il prato si affollasse troppo
ne ho approfittato per trovare una posizione centrale, non troppo
distante dal palco, accanto a un “corridoio” di transenne che si
è rivelata davvero ottima in quanto non avevo ostacoli visivi
in direzione del palco.
Finito
il concerto degli Snow Patrol - che mi hanno un po' delusa – c'era
mezz'ora in cui freneticamente venivano cambiati gli strumenti e i
vari allestimenti sul palco, ma all'orario previsto per i Cure
l'attività lavorativa ferveva ancora. Passato il classico
quarto d'ora accademico, o forse di più, la gente incomincia a
spazientirsi, rumoreggiare e fischiare; ecco allora che sale sul
palco Robert Smith ed in uno stentato spagnolo spiega che ci sono
problemi tecnici e chiede di pazientare “dos
minutos”.
Mi
tranquillizzo vedendo che almeno i Cure ci sono, ed effettivamente i
tecnici continuano ad armeggiare intorno alle tastiere che non ne
vogliono sapere di funzionare: speriamo bene. Intanto i dos minutos
passano e ne passano ancora parecchi altri, il pubblico è
furibondo mentre io sono stressatissima e inizio a temere che il
concerto salti; Robert sale di nuovo da solo sul palco e il gelo mi
assale perchè penso che adesso annuncerà l'annullamento
dell'esibizione.
E
invece? Invece da grande uomo quale è prende la chitarra
acustica, si avvicina al microfono e annuncia, in inglese questa
volta: “mentre
loro riparano io canto qualcosa per voi”
e attacca con Three
Imaginary Boys
seguita da Fire
in Cairo
e per finire Boys
Don't Cry.
Mi
vengono i brividi solo a ripensarci. Ma quale altro cantante di un
gruppo avrebbe fatto una cosa del genere?!? Metterci la faccia a
questo modo, prendersi la responsabilità del problema e fare
qualcosa per gratificare l'attesa del numeroso pubblico: questo si
chiama avere rispetto per i propri fans e ricambiarne l'amore. Quindi
la sfiga del problema tecnico si è trasformata nella fortuna
di assistere ad un favoloso quanto irripetibile Robert “unplugged”
che già da solo ripagava del prezzo del biglietto.
Come
se non bastasse, terminati i tre brani da solo lasciava il palco
dicendo che sarebbe andato a prendere il resto del gruppo e che
quello era il motivo per cui “it's
The Cure and not Robert Smith”.
Ma come si fa a non adorarlo?!?
E
così a mezzanotte, dopo questo meraviglioso regalo, è
iniziato il vero e proprio concerto dei Cure e la gente è
impazzita e tutti i miei timori si sono dissipati: lo spettacolo è
stato fantastico, perfetto, pieno di energia e di grande
comunicazione emotiva con il pubblico, il timido carisma di Robert
catturava chiunque.
La
musica mi ha rapita, toccata nel profondo del cuore e fatto vibrare
l'anima come non mi accadeva da tempo; vedevo benissimo il palco e
sebbene ci fossero due maxischermi mi concentravo a guardare i
musicisti veri e non la loro immagine per cercare di fissarli nel
cuore; sebbene ci fosse calca ero tranquilla nel mio angolino e non
mi agitavo, ero molto concentrata sulla musica e su tutte le
sensazioni e vibrazioni che mi faceva provare.
Come
sempre A
Forest ha
ipnotizzato il pubblico con le sue atmosfere surreali e quel potente
giro di basso in chiusura che ti vibra nella pancia... a quell'ora su
al Kobetamendi si era alzato un vento freddino, ma non era certo per
quello che avevo i brividi.
Mentre
tenevo il conto delle canzoni che avrei voluto sentire il concerto
sembrava terminare, anche se era chiaro che sarebbero usciti ancora.
Infatti rieccoli sul palco per il bis con un brano che non avrei
osato sperare... e invece partono proprio gli accordi di The
Same Deep Water As You
che per me è uno di quei pezzi “da sdraiarsi per terra”,
nel senso che ha una tale atmosfera ipnotica e magica che l'unica
cosa da fare è lasciarsi andare, lasciarsi cadere per terra e
farsi portare via dalla musica. Non mi sono sdraiata per terra in
mezzo alla gente, comunque in quel momento mi sentivo profondamente
felice e in armonia con tutto e anche se tanti pezzi non erano stati
suonati poteva benissimo essere la fine del concerto, l'estasi era
totale e quella frase finale della canzone “the
very last thing before I go”
poteva essere la degna conclusione.
Il
concerto infatti finiva lì, ma dopo una breve pausa iniziava
un secondo bis scatenato: 10 pezzi tra i più ballabili e
cantabili tra cui le immancabili Close
To Me
e Friday
I'm In Love
ma anche l'inaspettata The
Lovecats e
il brano finale Boys
Don't Cry
a chiudere il cerchio che si era idealmente aperto con l'assolo
iniziale e quindi le tre – dico tre – ore annunciate erano
davvero trascorse; sembrava che il tempo fosse volato.
Non mi sentivo più le gambe
quando ho iniziato a prendere la strada del ritorno, ma chi se ne
importava: il cuore era traboccante di gioia e me la stavo
assaporando pienamente. Ci sarebbe ancora stato da sentire il
concerto dei Bloc Party e magari avrei potuto comprare il biglietto
per i Radiohead il giorno dopo, ma ero “sazia” di musica ed
emozioni, avevo bisogno di godermi bene quello che avevo appena
vissuto, di interiorizzarlo.
Ho passato tutto il giorno
seguente in uno stato di grazia, continuava a vibrare tutto dentro di
me, era come se la musica suonasse ancora e io continuassi a rivedere
e rivivere il film della notte precedente: la gioia era totale! A
proposito di film: ho volutamente evitato di portare la macchina
fotografica perchè non volevo distrarmi pensando a fare foto e
filmati, volevo solo concentrarmi sul “sentire” con tutti i sensi
e lasciar fluire la musica e le sensazioni. Ringrazio però chi
i filmati li ha fatti e li ha caricati su You Tube, ogni volta che li
guardo mi viene la pelle d'oca pensando di essere stata lì.
A mente fredda nei giorni seguenti
ho ripensato ai timori che avevo avuto prima del concerto ma sapevo
anche che dentro me una voce aveva sempre detto che i Cure non mi
avrebbero potuto deludere. E infatti la voce del cuore aveva ragione.
Sono stata fiera di averli seguiti per 25 anni (o forse più)
ne è valsa la pena davvero, il mio amore è stato
ampiamente ripagato e ci sarà sempre un posto per loro nel mio
cuore.
Aggiungo
una postilla per dire che ho letto un blog in cui l'autore raccontava
la
sua esperienza al concerto dei Cure a Roma, nello stesso mese di
luglio, e concludeva dicendo “posso morire contento”.
Ecco!
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Leggi
anche:
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by Mira Queen)
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